Non mi sembrava vero e così ci sono andato, di persona, alla conferenza stampa dell’OIAM, l’Osservatorio sui dati dell’audiovisivo nazionale dedicato anche alla promozione del medesimo all’estero, promosso dalla Fondazione Rossellini, la Luiss, Isicult ed a cui questo giornale ha dedicato ampio spazio. Non mi sembrava vero, dicevo, che dopo quaranta o cinquant’anni di politiche fallimentari di una non mai ben precisata “promozione del cinema italiano all’estero” e relativi, tremendi baracconi parastatali (nel senso più inefficiente del termine) qualcuno osasse ancora avventurarsi su un terreno ancor ingombro di cadaveri. Dalla vecchissima Unitalia alla ben più recente Filmitalia, purtroppo sembra di rivedere a loop la disfatta di Caporetto.
Sì, perché l’idea del nuovo Osservatorio è eccellente. Anzi, innanzitutto sono eccellenti e di gran nome le istituzioni che lo compongono così come i suoi membri fondatori (spero che tra comitati e addentellati riescano a lavorare davvero tutti e bene, insieme) e quindi, dicevo, è ottima l’idea di un organismo che NON si occupi fattualmente di promozione all’estero, ma fornisca esclusivamente i dati per farla, la promozione, e farla bene. Finora, infatti, gli organismi di cui sopra facevano propria una politica di diffusione che, in origine. Era propria della forza del prodotto. Per capirci: se hai La Dolce Vita, lo vendi dovunque, se hai Trinità , in molti Paesi, se hai uno delle decine di nostri titoli usciti negli ultimi dieci anni che non hanno superato neppure il milione di euro in patria, è più facile che non lo vendi a nessuno. Che esista Unitalia, Filmitalia o, come succede adesso, che a dare una mano dal punto di vista istituzionale sia Cinecittà Luce o l’Anica, il risultato non cambia se non cambia il prodotto da vendere. Ed in questo ambito, con un’efficace sequenza di slide incentrate sul paragone anche creativo tra un film hollywoodiano ed uno italiano, gli esponenti dell’Oiam hanno dimostrato come e quanto la strada sia in salita, dai bei tempi (gli anni 60, quando il nostro era definito il “cinema più importante del mondo”; ma anche i 70, quando il nostro prodotto medio era appetito in Sudamerica e in Medio Oriente) ad oggi, un tempo in cui si sono persi circa i nove decimi del potenziale export nei confronti degli altri Paesi. Riprendere in mano, insomma, un argomento come la promozione dell’audiovisivo all’estero (videogiochi compresi!) che era stato lasciato cadere per “manifesta inferiorità ” del nostro mercato nei confronti della concorrenza mi pare in un momento come l’attuale una bella iniezione di speranza. Che qualcuno studi come aiutare un prodotto nazionale ad essere appetibile per altri mercati è un’attività meritoria specialmente perché è una vita che non lo fa più nessuno. Naturalmente, nella “culla degli autori” quale il cinema e l’audiovisivo italiano l’idea di concepire un prodotto partendo non dico soltanto ma quantomeno “anche” dal pubblico che poi dovrebbe acquistarlo o spendere per vederlo (specie se neppure italiano) necessita di una sorta di rieducazione di massa dell’intero settore, in cui fino a poco tempo fa da parte di tanti autori vigeva la frase “del pubblico non me ne frega niente”: ma mai dire mai.
Un primo passo, a volte, vale quanto l’ultimo.
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